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Immagine del redattoreFrancesca Panarello

Respiri, sentiti e pensieri di mezzo, nel tempo del virus solidale.

Da tempo scelgo con cura il cibo con cui nutrirmi, il momento in cui farlo senza seguire soltanto gli automatismi degli orari quanto, invece, il ritmo del mio corpo; osservo il livello di sazietà e faccio attenzione a quello che bevo; mi permetto i piaceri e i divertimenti della tavola per gioia; faccio sport per portarmi con elasticità e in asse nei movimenti della giornata; preferisco accostarmi agli altri, agli ospiti, ai compagni di strada, anche ai meno graditi, con circospezione e rispetto, senza la velleità di eliminarli o modificarli: per questo evito di assumere antidolorifici e antibiotici, se non strettamente necessari, e vivo le relazioni, anche le più dolorose e complesse, ponendomi in osservazione e ascolto, prima di agire la parola, il gesto, il comportamento o il silenzio, che curino.

Respiro - il mare, i boschi, i borghi di campagna, quando posso - e mi accorgo di essere respirata; respiro, per connettere la mia postura mentale a tutte le sensazioni anche le più sottili, che si sprigionano dal mio copro e mi percorrono, per integrare e contemplare il vuoto, la sorgente, la fonte dove è l’essere tollerante, comprensivo e multiforme.

Cammino, nella pazienza del tempo, nel radicamento della presenza, nella fiducia dell’ apertura al mistero, che è invito a camminare, ancora e ancora.

In questo tempo di restrizioni e confinamenti mi è mancata la terra sotto i piedi: ho provato un senso di soffocamento e di smarrimento, lo strappo degli allontanamenti forzati e delle privazioni, il dolore dell’incomunicabilità e il peso del mio corpo contratto e rattrappito, la rabbia e l’impotenza di fronte ai soprusi e alla logica imperante, di dominio e aggressione, che manipola le menti e i cuori, la rabbia e l’impotenza di fronte alla tracotanza di regole fatte per tenere sotto scacco le coscienze, fatte da uomini dimentichi di essere, su questa terra, solo dei custodi, degli affidatari provvisori.


Respiro, contatto la paura della solitudine, di ospitare uno sconosciuto che non so come trattare, uno sconosciuto che potrebbe rompere l’equilibrio, turbare la convivenza con quello che mi porto dentro e con ciò che mi circonda; lo ascolterò, mi ascolterò, me ne occuperò: potrà bastargli il rispetto e la circospezione, la cura che riservo ai suoi simili?


Respiro, contatto la paura di non trovare assistenza, per me, per mia madre anziana, per i miei cari, in un sistema che osa usare la salute, per generare clamore sociale e controllarlo, anziché servirla con norme trasparenti e comportamenti improntati all’onestà, all’ equità e alla personalizzazione delle cure. Un sistema incosciente.

Un sistema ignorante, non curante, arrivista e sprezzante, che adesso vuole sudditi terrorizzati e, perciò, gode a vederli divisi e disorganizzati, blateranti, gli uni contro gli altri armati, al limite disposti a cedere, alcuni, a logiche clientelari, ancora una volta; disposti a piegarsi a sotterfugi, per avere la meglio e farla franca, procurarsi i presìdi sanitari e i letti giusti. Un sistema che sguazza nel divario sociale, culturale ed economico, soprattutto, dove pochi detengono le leve e molti si illudono di poterle, primo o poi, maneggiare, a proprio esclusivo vantaggio.

Respiro, mi scopro ai margini del sistema, sulla linea di confine, né fuori né dentro, al tempo stesso a un passo, spesso impercettibile, dall’uno e dall’altro, in equilibrio, a volte instabile, tra essere e dover essere, tra fiducia e paura; mi intenerisco di me e gioco a immaginare lui, il VIRUS, strisciare comodamente, infiltrarsi con tenacia a causa dell’ incuria per l’ambiente, dell’indifferenza verso l’altro, dell’assenza di compassione e delle carenze della politica e della cittadinanza.


È in obbligo con tutti, è solidale. fa la sua parte,


negli spazi sottratti alla natura, alle relazioni autentiche, all’ educazione inclusiva e libera, alla partecipazione civica e al confronto creativo, alla giustizia e alle istanze di riparazione, alle regole in favore dell’uomo e della donna, degli omo, dei trans, dei bambini, degli anziani, degli stranieri, di tutti; fa la sua parte negli spazi rubati alle cure, all’arte, alla bellezza, allo spirito e al mistero.

Fa la sua parte - la conosce -, mentre respiro e rimango dalla mia, come so e posso, a camminare nel mezzo della vita, provando a coltivare proprio quegli spazi di solidarietà; respiro e rimango ad aspettarlo, se vorrà farmi visita.

Francesca Panarello

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