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La scelta

della mediazione

nelle relazioni

conflittuali

Generalmente con il termine conflitto (dal latino conflictus = urto, scontro) si intende una divergenza di opinioni, un’ incompatibilità di interessi, una contrapposizione di scopi; in tutti questi casi il termine rinvia ad uno “stato” della relazione: più precisamente, indica una relazione antagonistica tra due o più persone; essendo, la relazione, una dimensione dinamica della persona come tale soggetta a trasformazioni, si può considerare il conflitto un “processo” attraverso cui la persona umana può “imparare” a ri/organizzare le proprie relazioni.

 

Quindi, il conflitto è una relazione “trattabile” e “gestibile”. Questa accezione qualitativa del conflitto, si contrappone a quella quantitativa, secondo cui  esso rappresenterebbe la forma di massima manifestazione di una mera divergenza di idee, che progredisce fino all’esasperazione e allo scontro violento verbale e/o fisico.

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Il conflitto, viceversa, non è di per sé uno stato patologico e non assume un significato negativo, anche se provoca sofferenza, viene avvertito come una minaccia e vissuto con fastidio, quando non con dolore, tanto da evitarlo quanto più possibile; in realtà, se mis-conosciuto e/o irrisolto è potenzialmente molto pericoloso anche e soprattutto per il benessere psico-fisico delle persone coinvolte.

 

Per questo motivo è necessario che sia adeguatamente gestito[1], affinchè diventi un’opportunità di rinnovamento; in questa prospettiva la gestione del conflitto secondo modalità mediative si colloca come opportunità di “educazione” al riconoscimento del conflitto, alla percezione dei propri interessi e al cambiamento.

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Il conflitto è, quindi, una forma evoluta di relazione finalizzata all’apprendimento di “competenze sociali” , un momento di apprendimento e trasformazione: accedere ad una simile idea favorisce la ri-generazione dei legami affettivi-sociali  e consente di assumere la  potenzialità maieutica, e, infine, la portata “educativa”dei percorsi di “mediazione dei conflitti”.

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Infatti, nella prospettiva fin qui delineata la “mediazione” non serve a trovare una soluzione, almeno non nel senso di “legittimare” una “pretesa” e/o una “posizione”. Il mediatore non è un intermediario che “smussa” le posizioni configgenti al fine di giungere ad un accomodamento e a un compromesso. In questa direzione meglio l’assistenza di un difensore,  la garanzia di un giudice terzo e, da ultimo, i rimedi “deflativi” delle forme c.d. “alternative” di risoluzione dei conflitti (conciliazione, arbitrato etc…).

 

La mediazione consente, invece, di gestire il conflitto perché dà spazio ai bisogni personali ad esso sottesi e permette che la situazione di tensione evolva verso una relazione “educata” e responsabile”, in cui le persone assumono consapevolezza dei propri interessi e delle proprie risorse: ciò in quanto il percorso di mediazione – intesa come gestione della relazione conflittuale - consente di trarre dalle persone il meglio di sé, per condurle alla trasformazione delle loro modalità relazionali.

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da La scelta della mediazione nelle relazioni conflittuali di Francesca Panarello in Proposta educativa 2/10.

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