La paura è il desiderio di smarcarsi senza freni né inibizioni, senza inciampi da quel “quel cazzo di vuoto”, lasciato dalle frustrazioni dell’infanzia, dalle ferite dell’abbandono, del rifiuto, della denigrazione che ci hanno inflitto da bambini e poco più avanti, più o meno colpevolmente, genitori, insegnanti, figure di riferimento.
Il desiderio di lasciarci cullare dalla libertà di essere oltre l’angoscia di apparire, di rispondere all’immagine che gli altri hanno di noi (o che molto più probabilmente proiettiamo su di loro), al di là degli schemi delle etichette, dei pregiudizi, il desiderio di abbandonare i luoghi rassicuranti dell’io. il desiderio di mettere a tacere, dopo averli abbracciati e perdonati, quel manicomio di demoni chiassosi e blateranti, in cui incappiamo quando incrociamo lo sguardo dell’altro/a, che domanda i nostri occhi e chiede intimità.
La paura è il desiderio di intimità con noi stessi, di conoscenza, di illuminazione che non può darsi senza tagliare la testa al ciciarampa interiore che tende alla conservazione, ci domina e illude di potercela fare da soli, senza fare spazio all’amore che ognuno è.
La paura è il desiderio di stare in mezzo alla vita, di godere dello spettacolo della natura, del miracolo dello sciabordio del mare e del fruscio degli alberi nei boschi, di stupirsi alla vista di una fila di formiche intente a chissà cosa, di vedere un gabbiano sorvolare gli scogli, di ascoltare una musica, muovere il corpo in una danza avvolgente.
La paura è il desiderio di amicizia, di abbracciare chi ci sorride, di sentire il sussurro di parole dolci, di giocare a rincorrere la palla e saltare la corda, di una cena con persone care, di una festa, di un lavoro, di una città pulita.
La paura è il desiderio degli amanti, di un amplesso profondo, di carezze e baci, di tuffarsi negli occhi dell’altro/a, di cercarsi, di perdersi, di ritrovarsi, di esserci per sapere quanto e quando lasciare andare. La paura è il desiderio di scrivere, di penetrare i meandri della propria anima, scrutarne gli anfratti, la multiforme varietà e vergarne i tratti su un foglio bianco accecante, vuoto.
La paura è il desiderio di morire alle pastoie che ci incatenano, alle radici che ci avvinghiano, il desiderio di morire, quieora, per vivere.
«Le cose non sono mai finite e ogni storia è una storia che continua.
In quasi tutti i miei libri, la fine è un’apertura verso un’altra cosa nuova. Un’apertura a un prossimo episodio, a un passo che non è nel libro, ma che il libro suggerisce.
Un passo in un libro o un passo nella vita: è la stessa cosa. Se il personaggio non è morto, la sua vita continua».
(Paul Auster, “Una menzogna quasi vera” – Conversazioni con Gérard de Cortanze,Filigrana, minimum fax, 1998)
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