Alla base del discorso sulla mediazione dei conflitti, in generale e, in particolare, di quella familiare sta la visione, secondo cui i legami ci costituiscono e fondano la comune appartenenza al genere umano.
Non è un caso, dunque, che, se al legame coniugale e/o di coppia si affida la propria “salvezza”, la propria realizzazione, “proprio lì ci sarà il luogo più difficile, la situazione più dolorosa”.
È necessario, al tempo stesso sgombrare il campo da un equivoco: le relazioni, anche quelle di coppia, che funzionano, sono quelle tra persone che sanno confliggere, e scrivo confliggere e non litigare, perché il conflitto è uno stato della relazione, un evento della vita, un fatto, che mette in gioco bisogni/valori relazionali (fiducia, felicità, pace), diverso dalla lite, che è una contesa tra posizioni e pretese, che trovano nei diritti la strategia di difesa.
Quando una coppia attraversa una fase di crisi e quando questa crisi genera fatica, insofferenza frustrazione, in genere, si getta la spugna e si va ai ferri corti.
Si preferisce, cioè, addossare all’altro la colpa della fine della relazione oppure si giustifica la fine con la frase - Non era vero amore, entrando in un circolo vizioso di sfiducia e rancore, frustrazione e sensi di colpa.
Nella crisi (etim. un passaggio, un attraversamento) si possono evidenziare due aspetti: un corto circuito della comunicazione (crisi della comunicazione) e un corto circuito dell’immaginazione (crisi dell’immaginazione).
Entrambe queste due “crisi nella crisi” sono in gran parte condizionate da un malinteso circa l’amore: malinteso veicolato da certa filmografia e letteratura, nonché da clichés diffusi nelle credenze collettive, secondo cui l’amore è un’esperienza patinata e neo-romantica, dove non c’è spazio per i contrasti e, dunque, per i conflitti.
Ciò comporta che, nella relazione con l’altro, ci si aspetta che lui/lei sia uno specchio che riflette solo quello che piace, oppure un essere a propria immagine e somiglianza; c’è chi si pone nei confronti dell’altro “come tu mi vuoi” e chi nell’ aut aut prendere o lasciare.
È evidente, che, concepita la relazione – come rispecchiamento egoico -, lo spazio della comunicazione viene meno, viene, cioè, meno quello spazio/tempo in cui focalizzare, dichiarare e mettere in comune i propri bisogni emotivi – di cura, affettività, chiarezza, autonomia, rassicurazione, a vantaggio dell’affermazione del proprio ego e dell’espressione di giudizi, valutazioni, meriti e colpe, ora a favore, ora a danno l’uno dell’altra.
Venendo meno la possibilità di mettere in comune (lett. comunicare) energia di valore, si perde la capacità di ‘imaginare’, di stare nella magia, nella ri-creazione e trasformazione del patto originario: infatti,
le coppie in crisi fanno fatica a ridisegnare e, dunque, a rigenerare quel patto che le ha avvicinate all’inizio della loro storia e che, inevitabilmente, le vicende della vita (la nascita dei figli, una malattia, le difficoltà lavorative, un lutto etc.etc…) hanno modificato.
La mediazione familiare interviene proprio su questi piani della facilitazione, per riattivare canali di comunicazione bloccati, e della rigenerazione del patto, per transitare le persone dalla condizione di coppia coniugale a quella di coppia genitoriale, accompagnandole a fare nuova la propria storia, in vista della riorganizzazione della relazione familiare e genitoriale.
Il percorso di mediazione familiare, condotto da un professionista qualificato, terzo imparziale o, per meglio dire, equidistante ed equivicino, permette di ridurre i contraccolpi dolorosi dello scioglimento del vincolo coniugale e/o della relazione, mantenendo, anzi rigenerando i legami, attraverso la restituzione ai mediandi stessi del potere di comunicare e di immaginarsi, che avevano perduto.
La mediazione familiare di separazione e divorzio consente, infine, alle persone di raggiungere un’intesa che, eventualmente, si può formalizzare in un accordo scritto, sulle questioni discusse (turni di responsabilità, coabitazione, aspetti economico – patrimoniali), sostenibile nel tempo.
Si può dire, in conclusione, che la mediazione familiare è uno spazio-tempo d’amore: un amore che si fa ascolto e riparazione, sa dire mi dispiace e grazie, non serba rancore, apprende nuove modalità, per stare al cospetto dell’altro, per donare e ricevere, forse meno patinate eppure autentiche:
un amore ri-generato a partire dal conflitto, che, gestito nella stanza della mediazione familiare, diviene un momento e-ducativo e di scoperta di risorse nuove, in se stessi e nell’altro/a, da mettere in gioco per il benessere proprio e dei figli.
Questo, infatti, è il paradosso della mediazione familiare: essere travolti da un insolito destino… separarsi e restare insieme, genitori e figli! Con la stessa pazienza presenza e passione dell’inizio, perché, per dirla con la celebre frase di Massimo Troisi “Ci vuole amore per chiudere una storia”.
Francesca Panarello Mediatrice Familiare AIMeF secondo la L. 4/13 e la norma UNI 11644:2016
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